La prima retrospettiva del fumettista Vincenzo Filosa a cura di Alessandra Ioalé per CreteCon Festival 2019 dal 7 al 9 giugno all’interno delle storiche Scuderie del Granduca di Asciano (SI)
“Devo raggiungere la cima… non importa come… e in fondo non importa neanche quale… è soltanto l’inizio!!!”
Vincenzo Filosa, Viaggio a Tokyo, 2015
La carriera fumettistica di Vincenzo Filosa (Crotone, classe 1980) non è una “scalata” al successo, ma alla dignità di erede italiano dei Mangaka[1] del fumetto Gekiga[2] giapponese. È una storia di ammirazione e devozione, di amore reverenziale per Osamu Tezuka, Shigeru Mizuki, Yoshihiro Tatsumi e i fratelli Tsuge, nato nei primi anni del 2000 e consolidatosi con la conoscenza diretta delle loro opere, ancora inedite in Italia, durante i suoi soggiorni in Giappone. Un’esperienza fondamentale per l’autore, di cui ne lascia una prima traccia sulle pagine racchiuse nell’autoproduzione “Pictures from Life’s Japanese Side” (2007/2008). Appassionato conoscitore e studioso di manga e del fumetto sperimentale della scena indipendente giapponese, ne diviene divulgatore in Italia al suo rientro da Tokyo, cominciando a lavorare come traduttore per una delle più importanti case editrici italiane di fumetto, Canicola. Con il fondatore e direttore artistico della stessa, Edo Chieregato, stringe un solido rapporto di fiducia e stima reciproche, tanto da dargli la possibilità di pubblicare i suoi primi racconti brevi – “La festa della Madonna” (2008) e “Il Re dei Pruppi” (2010) – su alcuni numeri della rivista Canicola. Nel 2008, disegna e scrive l’iconica storia “Più case meno calabresi” per l’antologia Zero Tolleranza (BeccoGiallo Editore) e nel 2009 è protagonista della mostra Una storia come le case senza tetto con sedici illustrazioni accompagnate da un bellissimo testo di Andrea Bruno. Parallelamente non smette di pubblicare su riviste autoprodotte. Nel 2012, infatti, realizza “Blockbuster” per l’antologia Home dell’etichetta indipendente Delebile. Il 2012 è anche l’anno dei primi riconoscimenti al suo lavoro di fumettista. La rivista Domus gli commissiona “Sonata per l’Aquila” e il critico Luca Beatrice lo invita alla mostra Nuvole di Confine. Graphic Journalism. L’arte del reportage a fumetti.
Oggi, quella “scalata” si è compiuta. Filosa ha raggiunto la cima, sia come divulgatore, attraverso il suo lavoro di curatore della collana Gekiga per Coconino Press, che si affianca a quello di traduttore; sia come autore, diventando a pieno titolo un maestro del fumetto italiano. Filosa, infatti – con la pubblicazione di “Viaggio a Tokyo” (Canicola 2015); di “Torrespaccata”, per l’antologia “La Rabbia” (Einaudi 2016); e di “Figlio Unico” (Canicola 2017), di cui “Italo” ne è un’ideale continuazione – dimostra di essere una delle poche mani mature e autorevoli del nostro panorama, incarnando l’originale e compiuta, quanto alternativa, declinazione del fumetto di realtà, nella riuscita coniugazione della lezione italiana con quella giapponese del gekiga. Ripercorrendone in retrospettiva tutto il lavoro, vediamo come il Filosa maturo è l’esegesi naturale del Filosa giovane e acerbo. I romanzi a fumetti hanno forti radici in alcuni, precedenti e fondamentali, fumetti brevi, rivelando il metodo con cui l’autore li concepisce e partorisce, malgrado tempi di gestazione lunghi, ma inevitabilmente necessari al compimento di opere potenti, perché personali, ma al tempo stesso universali. Oggi recuperando e unendo perfino leggende di tradizione locale, calabresi e giapponesi, trasformandole in miti universali, di cui ne concepisce una nuova cosmografia in Cosma e Mito (Coconino 2019).
Nell’esempio dei suoi Maestri giapponesi, Filosa trova una chiave di lettura alternativa della realtà per la costruzione di un fumetto, che abbia la capacità di trasmettere ai posteri le esperienze di un occidentale nato a Crotone, trasferitosi a Roma per studio e oggi a Milano per lavoro, ma nonostante ciò, con l’anima ancora nella sua terra natia e lo sguardo rivolto a Oriente. Ed è ricordando il Giappone con il cuore a Crotone, che Filosa si riappropria dell’arte del tramandare, tipica calabrese, per cui a fine giornata si raccontano come aneddoti le proprie piccole storie di vita vissuta, di drammi come di conquiste o scoperte quotidiane, così da rimanere impresse ed essere ricordate da tutti. Tutta la ricerca di Filosa si concentra sul contenuto narrativo, piuttosto che su quello stilistico, nonostante sia forte di un segno proprio ed esteticamente affascinante. La sua personalità autoriale deve infatti il suo valore e la sua caratura alla capacità di tramandare la realtà quotidiana così com’è, filtrata dalla sua esperienza personale. Avulsa da qualsiasi inclinazione politica e senza la pretesa di esprimere giudizi o opinioni. Una realtà che può essere, sì, ingiusta e drammatica, ma anche bizzarra e surreale, restituita sia attraverso la caratterizzazione realista delle ambientazioni e quella psicologica dei personaggi protagonisti; sia attraverso la rielaborazione consapevole dei canoni linguistici del manga giapponese, che si rivolgono a quelli dell’animazione per quel che concerne la composizione della tavola, la relazione dei disegni all’interno della sequenza e la cura dei dettagli.
Ogni storia, al suo interno, mantiene un equilibrio tra racconto della vicenda personale e racconto del contesto in cui essa si svolge. Un equilibrio che si rispecchia in quello narrativo e descrittivo, dove si tralasciano i dettagli personali, ma non quelli del contesto, affidando gran parte della narrazione all’immagine. Questa dinamica, dal punto di vista della narrazione, crea dei vuoti narrativi; campi neutri al di fuori dalle sequenze che contano, ma inseriti nei passaggi chiave della storia, in cui autore e lettore possono incontrarsi e interagire, attraverso le proprie esperienze comuni, permettendo così alle opere di parlare a chiunque le legga ed essere condivise e condivisibili. Questa costruzione rende possibile la restituzione di alcuni dei disagi sociali, che investono la nostra società a livello nazionale a causa della corruzione e del malcostume nel tessuto statale. Dal disagio ambientale del non corretto smaltimento dei rifiuti nel sud Italia al disagio dei servizi pubblici; fino a fare una fotografia odierna della condizione dell’uomo medio, segnata molto spesso dalla tossicodipendenza e dall’alcolismo, due inarrestabili piaghe sociali riconducibili alla continua ricerca di una via di fuga da un sistema sociale malsano. Dal punto di vista della descrizione formale, l’equilibrio è sostenuto nella restituzione degli ambienti. Filosa si distingue, infatti, per i suoi interni – palcoscenici della vicenda personale – che non sembrano far parte della realtà italiana, quanto piuttosto di quella giapponese; e per i suoi esterni – palcoscenici della vita pubblica – che invece restituiscono proprio tutte le caratteristiche delle città-metropoli, come Tokyo o Roma, e del paese, come Crotone.
Se da una parte si descrivono ambientazioni urbane caotiche,
affollate, o che hanno funzione metaforica, con cui Filosa riduce l’esistenza umana
a un videogame o con cui amplifica e drammatizza le difficoltà psicologiche dei
protagonisti; dall’altra si descrive un paesaggio rurale o di periferia, quasi
sempre spoglio, semplice, diametralmente opposto alle prime. Un paesaggio punteggiato
da strutture industriali e caratterizzato da quel cosiddetto “incompiuto architettonico”
di costruzioni sempre in corso, esteticamente attraente e psicologicamente
respingente. Ciò è funzionale alla contestualizzazione del racconto e
all’espressione di uno stato d’animo preciso, quello dell’autore davanti alla
realtà vissuta, perennemente precaria, in cui è difficile raggiungere stabilità
ed equilibrio. Un tema, questo, che ricollega la sensibilità e l’opera di
Filosa a quelle di molti altri artisti, le cui ricerche sono riconducibili al movimento
del realismo urbano contemporaneo.
[1] “Autori di fumetti” nella traduzione giapponese.
[2] Il termine giapponese significa “immagini drammatiche” e identifica il genere sperimentale del fumetto underground giapponese, ad oggi conosciuto come fumetto di realtà, nato negli anni del dopoguerra in contrapposizione al manga commerciale, per restituire a questa arte un valore, che vada oltre la mera funzione d’intrattenimento disimpegnato per dar voce alle storie di chi vive ai margini della società.