“Segni Leggeri” è la bipersonale con cui si ripercorre la net artistic route tracciata da due giovani artisti italiani che hanno fatto del web il loro territorio di ricerca, Guido Segni e Luca Leggero. Attraverso la scelta di opere poste in un dialogo di confronto, ne evidenziamo le affinità tematiche e di intenti, esaltando quelle che sono le peculiari traiettorie estetiche, le soluzioni scelte per esprimere i propri punti di vista, e gli interessanti approcci metodologici adottati, per affrontare una prima rilettura del contributo che il loro lavoro ha dato alla pratica d’arte on line, anche nella ricerca di un nuovo rapporto con la dimensione concreta del reale.
Due piccoli gioielli della corona toscana, oserei dire, le cui pratiche si distinguono a livello internazionale in questo specifico, complesso e poco conosciuto panorama della ricerca artistica on line. Non prendendosi mai troppo sul serio e con grande senso ironico, i due artisti si addentrano nell’analisi di quei fenomeni di ultima generazione prodotti dall’arrivo di Internet, che ha influenzato usi e costumi della società contemporanea.
Guido Segni, col tipico atteggiamento dell’hacker che si approccia però concettualmente alle tecnologie, volge il suo occhio attento all’(ab)uso quotidiano della rete; Luca Leggero, con la sensibilità del musicista e dell’artista multimediale, guarda invece alla storia dell’arte del secolo scorso nel suo nuovo rapporto col web e le nuove tecnologie. Entrambi propongono una (re)visione personale, insolita, alternativa delle due diverse tematiche nelle loro traiettorie di ricerca, che si incontrano per la prima volta nel 2013, quando la loro riflessione si concentra sul concetto di caducità in Internet, portando i due amici e colleghi ad operarne una personale declinazione. Vedremo come, da quel momento in poi, i destini artistici di questi due autori sembrano proseguire in parallelo e guardarsi vicendevolmente, facendo emergere punti di contatto e nuovi spunti di riflessione complementari.
Il percorso si apre con le due opere simbolo di questa fatidica tangenza, ovvero TOP EXPIRING INTERNET ARTISTS di Segnie Nothing is eternal di Leggero, del 2013. La prima è una graduatoria on line dei più influenti net artisti, aggiornata quotidianamente e ordinata in base alla data di scadenza del loro sito web. Una rappresentazione ironica di quelle inutili classifiche dei “top 10” all’interno ma anche all’esterno del web che ha contagiato intere schiere di artisti, non di meno quelli che operano nella e con la rete; una parodia visiva dello spirito di (iper)competizione degli artisti contemporanei, che ha suscitato paradossalmente non poche adesioni fra gli artisti stessi. La seconda invece non è altro che un sito il cui dominio www.nothingiseternal.net è stato registrato per la durata di dieci anni, alla scadenza dei quali il sito non sarà più in linea, non esisterà più. Le due opere riflettono sul concetto di temporaneità in ambito web, difficile da percepire quando quotidianamente noi utilizziamo, sostiamo, navighiamo sulla rete per lavoro, per svago e per intrattenere le nostre relazioni sociali. Qui ce ne possiamo rendere conto perché viene palesata la scadenza, determinata dai creatori attraverso il countdown del tempo rimanente o la data di creazione. Anche su Internet niente è eterno e tutto può spirare dopo la sua creazione. Se applichiamo questa consapevolezza a un’opera d’arte, la cui esistenza è accertata soltanto nella realtà virtuale della rete, possiamo intuire le potenzialità che sottendono ai due lavori presentati, in quanto pongono in evidenza il concetto di “effimero programmato” applicato all’opera d’arte on line in contrapposizione a un deterioramento lento e graduale nel tempo di un’opera fisica. Per ironia della sorte, qui il senso stesso dell’opera d’arte, di dominio pubblico e facilmente accessibile e condivisibile per il libero accesso alla rete, coincide con il proprio periodo di permanenza sulla rete. L’opera d’arte incarna virtualmente il concetto stesso di temporaneità ed effimero su web che paradossalmente non ha un tempo né uno spazio determinati.
Seguendo il trait d’union di riflessione concettuale di temporaneità e obsolescenza, incontriamo A QUIET DESERT FAILURE, il progetto di Guido Segni che amplia tale riflessione ai contenuti on line, ai database di immagini, per la precisione quelle del Deserto del Sahara stoccate nei server di Google Maps. Una performance algoritmica elaborata dall’artista per farne una raccolta e una conservazione in un blog Tumblr aprono la questione sulla memoria e il vuoto lasciato una volta concluso il progetto di ri-mappatura dell’intero Deserto che si completerà nell’arco di 50 anni. Anche Luca Leggero guarda ai contenuti di Google con il progetto Google Art On Canvas, stavolta non dal punto di vista geografico ma artistico, attingendo dalla raccolta di Google Art. Con una serie di stampe su tela, l’artista mette in evidenza i segreti inaccessibili e i difetti di alcuni tra i migliori dipinti della storia dell’arte. Mentre l’opera di Segni resta nella realtà immateriale della rete, quella di Leggero approda nella realtà fisica come una sorta di nuova raccolta, una collezione delle particolarità dei più noti dipinti della storia dell’arte, attraverso l’operazione d’ingrandimento e ritaglio di piccoli frammenti d’immagine ad alta risoluzione possibile soltanto grazie al materiale messo a disposizione da Google. Entrambi i progetti, posti in relazione, mettono in evidenza due aspetti importanti dell’opera d’arte nella pratica on line. Il primo rende possibile, attraverso un programma che posta un’immagine ogni 30 minuti, verificare l’opera in divenire nel tempo, la sua trasformazione, che coincide con la modificazione della zona geografica presa in esame. Su tutto il lavoro però pesa l’incognita che i server di Google, l’archivio tumblr o la stessa rete Internet durino abbastanza per vederne il completamento e in quel caso saggiare anche il fallimento del progetto. Il secondo invece, nella sua riappropriazione dello spazio fisico, rende concreto l’immateriale digitale, con opere già concluse, tangibili e verificabili senza alcun limite temporale se non quello di accessibilità, non esistendo più esse nella rete.
Il concetto di identità fisica dell’opera d’arte nello spazio e nel tempo che nasce on line è ripreso anche nella terza opera di Luca Leggero, Facebook lgbt Flag, una serie di bandiere raffiguranti l’immagine del profilo facebook di Mark Zuckerberg filtrata da alcuni dei simboli di orgoglio LGBT, realizzata nel 2015 in risposta al fenomeno verificatosi su Facebook in occasione del 26 giugno, quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato legali i matrimoni gay. Il famoso social network infatti creò una funzione temporanea per la sovrapposizione della bandiera arcobaleno sulle immagini del profilo, utilizzando la pagina dedicata facebook.com/celebratepride, generando una formidabile invasione di immagini di questo tipo. L’opera, dal carattere fortemente ironico, riflette sul modo in cui le compagnie si appropriano delle cause, dei simboli e codici dei singoli o di gruppi di persone, portando all’eccesso questo tipo di operazione, quasi ridicolizzandola, e mette in evidenza la forte influenza che oggi i social network possono esercitare, diventando così potenziali strumenti di persuasione delle masse nell’era digitale.
Un approccio critico verso quei fenomeni di massa generati all’interno di sistemi propri dell’era digitale o post-digitale, in ambito socio-culturale nel caso dell’opera di Leggero, in ambito lavorativo invece nel caso di Guido Segni e dell’opera WORK LESS, WORK ALL. Segni ha realizzato una serie di lavori video attraverso l’acquisto di forza lavoro su Fiverr.com – un sito web dove le persone offrono i loro servizi professionali a un prezzo molto basso – chiedendo a ciascun lavoratore di usare il proprio corpo per mostrare, cantare, ballare o declamare un messaggio scelto dall’artista. Ogni lavoro è una performance di body art commissionata e registrata, dove la richiesta di trasmettere messaggi presi in prestito dal linguaggio e dai motti dei movimenti per i diritti del lavoro si combina con l’azione dei lavoratori, che nell’interpretazione di tali messaggi mettono il corpo e la creatività.
Mentre Leggero ricerca un rapporto con la realtà fisica, Segni segue una traiettoria più immateriale, ma la nostra bipersonale si conclude con due opere che oggi avvicinano nuovamente i due artisti proprio dal punto di vista della “materializzazione”. Guido Segni, continuando a riflettere sul concetto di tempo e memoria nell’era effimera dei media digitali, opera una originale rivisitazione del social network Twitter in Verba Volant confrontandosi con il materiale simbolo per eccellenza della memoria storica: il marmo, reinterpretando e riattualizzando le tradizionali tecniche incisorie grazie all’uso di una macchina a controllo numerico. L’artista nella materializzazione di tweet, incise come delle epigrafi, si riappropria di quella forma di “tramandamento” su supporto non deperibile di un testo e/o un messaggio, elabora esteticamente e concettualmente un mélange che unisce la tradizione classica con quella moderna di elementi grafici, dallo stile iconico, e frasi sintetiche dal registro ironico, tipici del linguaggio web. Luca Leggero invece, tornando sui sentieri di Google, scova qualcosa di affascinante riguardo il cambiamento di stile delle applicazioni per smartphone dalla comparsa del sistema operativo Android. Google introduce infatti Material Design, uno stile semplice di cui redige anche una guida all’utilizzo che Leggero decide di seguire per la realizzazione a laser della nuova serie Google Material Art. Anche in questo caso fedele alla sua linea di ricerca, l’artista materializza oggetti nella tridimensionalità spaziale attraverso la sovrapposizione di piani, con uno stile che paradossalmente simula la terza dimensione di applicazioni e oggetti in ambito web, realizzando così sculture costituite da piani sovrapposti in plexiglass colorato, che replicano, per forma e grandezza, quelle di smartphone e tablet.
La mostra ha la volontà di narrare il primo ciclo creativo nel percorso di due artisti, l’iniziale tangenza delle loro traiettorie di ricerca, nell’analisi del concetto di obsolescenza ed “effimero programmato” in Internet, senza contatto con la realtà materiale e restando in quella virtuale. La sua conclusione è invece nel segno della materializzazione, poiché avvicina concettualmente la ricerca di Luca Leggero e quella di Guido Segni che stabilisce per la prima volta un ponte alternativo con la realtà spaziale.
A cura di Alessandra Ioalé
Comunicato stampa | Evento FB | BAG Gallery Parma
Rassegna stampa
Artslife – “Internet non è per sempre”. A Parma la riflessione di Guido Segni e Luca Leggero
Arshake – Internet non è per sempre
The Walkman Magazine – Segni Leggeri alla BAG Gallery di Parma
Juliet – Segni Leggeri Internet non è per sempre
La Repubblica di Parma
Digicult – Segni Leggeri. Internet non è per sempre
#AIMagazine issue n°75 Winter 2017 – “Internet, materializzazioni dell’effimero” intervista a Guido Segni e Luca Leggero
BIO
Luca Leggero
Con il suo lavoro ha prodotto una personale rilettura della storia dell’arte mettendola in relazione con il web. Ha usato i telefoni cellulari in modo alternativo, creando performance audio e video, composizioni musicali e installazioni. Recentemente si interessa alla sempre crescente influenza che i le grandi compagnie dot-com esercitano sulla nostra vita quotidiana. È fondatore del collettivo multimediale MAIS e fa parte del comitato editoriale della casa editrice di libri d’artista Atypo.org.
Ultime esposizioni: “(More) Google Art on Canvas“, City Art, Milan, “Google Art on Canvas“, ULTRA c/o eflux, Udine, “Con desiderio e con timore“, Placentia Arte, Piacenza, “BAU A3D“, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato, “XXIV waves for piano solo – to David Lynch“, Lucca Film Festival, Lucca, “Contemporary Cities“, HOC/, Internet. Pubblicazioni: “Quando l’arte catturata da Google torna su tela” by Federico Martelli, The Creators Project; “Libro d’artista moltiplicato: segno, oggetto, ambiente come forme di comunicazione” by Natalia Molchanova, Accademia di belle arti di Brera, Milan; “Understanding Software: Why Software Studies Matter” byArthur Teutler, UvA New Media Studies Course, University of Amsterdam; “Luca Leggero, Contemporary Cities” by Irene Panzani, Observatoirexpansé; “ISSUE #2 Interview with Luca Leggero” by Giulia Daolio, HOC/. www.leggerostudio.com
Guido Segni
Vive e lavora in Italia, all’estero e in Internet nelle intersezioni tra arte, cultura dei nuovi media e allucinazioni digitali. Co-fondatore del gruppo Les Liens Invisibles, ha esposto internazionalmente in gallerie, musei (MAXXI Rome, New School of New York, KUMU Art Museum of Talinn) e festival di arte contemporanea e nuovi media (International Venice Biennale, Piemonte SHARE Festival, Transmediale). Ha recentemente vinto una menzione onoraria al Festival Transmediale di Berlino (2011). Artista e Webdesigner, si occupa di arte e nuovi media dalla fine degli anni ‘90. Ha scritto articoli e recensioni per le più note riviste di settore (Neural, Digicult). Insegna all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Segue laboratori pratici e corsi di formazione legati al mondo della produzione digitale e multimediale.
Ultime esposizioni: “A New Social Contract”, curated by Elena Giulia Abbiatici for OFF Biennale, Cairo, November 28 – December 29 2015; “Object” | Pixxelpoint media art festival curated by Igor Štromajer, Nova Gorica and Gorizia , November 27 – December 4 2015; “(in)exactitude in science” @ The Wrong: New Digital Art Biennale, curated by Filippo Lorenzin and Kamilia Kard, November 1– January 31 2016; “Ego Update. Die Zukunft der digitalen Identität” curated by Alain Bieber, NRW–Forum, Düsseldorf , September 19 – January 17 2016; “Random Access Memory” Media Art Festival, Art Museum Arad, Romania, October 17 – November 17, 2014; “Reality check” curated by Filippo Lorenzin, Spazio ULTRA, Udine, October 4 – November 15 , 2014; “Pics or it didn’t happen” online solo exhibition at HOC Gallery, July 15 – October 15, 2014.