Per Cose che non accaddero mai, ma che sempre sono, a cura di Ilaria Mariotti, il Centro Espositivo di Villa Pacchiani si trasforma, diventando l’ambientazione di un altra dimensione, quella dove il mito e le sue stratificazioni incontra la capacità di rilettura, rielaborazione e creazione di Marta Roberti, giovane artista romana vincitrice del Premio Santa Croce Grafica 2022.
Qui l’umano incontra l’animale e il vegetale, tre specie coinvolte in un immaginario, che potrebbe esser esistito o magari potrà ancora esistere attraverso il disegno declinato poi in installazioni e video animati, a cavallo tra Oriente e Occidente.
Appena varcata la soglia della prima sala espositiva, entriamo in una dimensione calda, primordiale, selvaggia, in cui le serie di disegni su pregiata carta dello Yunnan hanno il potere di coinvolgere il fruitore nelle metamorfosi in atto, nelle ritualità di creature ibride di divinità, in cui vi si rintraccia sempre il ritratto dell’artista, che “si manifesta a noi nelle vesti della babilonese Ishtar, dea dell’amore, dell’erotismo ma anche della guerra, della Dea dei serpenti generata dalla civiltà minoica riferibile ai rituali della fecondità, di Potnia Theron, Signora degli animali, dea mediterranea fin dall’Età del bronzo, selvaggia e primordiale, e della terribile dea indù Kali, ma anche di Europa che fu rapita da Zeus in veste di toro bianco il cui mito rappresenta la migrazione tra Oriente ed Occidente”. Non più identità individuali fisse, ma spiriti collettivi, silvani, fluidi che scorrono liberi nella narrazione utopica immaginata per lo spazio di Villa Pacchiani da Roberti partendo dalla sua ultima serie di disegni realizzati in relazione alla riconfigurazione di opere di periodi diversi.
Incontriamo poi una seconda serie di disegni appartenente al ciclo Se io mi Intuassi come tu ti inmii (2021) (Se potessi penetrarti, capirti, percepirti con la stessa empatia che ti fa penetrare in me…) il cui fulcro tematico è quello della metamorfosi e per il quale sono proprio le parole di Roberti a far luce sulla sua volontà di cercare “di rappresentare, usando il mio corpo e il mio viso femminile, i processi di metamorfosi tra umani e animale, tracciando nella Divina Commedia alcune figure e passaggi che esprimevano una condizione di mancanza di confine tra umano e animale”, spiegando anche la ragione del titolo che riprende un verso del Paradiso della Commedia dantesca (Paradiso IX,81).
Una terza serie, invece, si ispira all’osservazione delle posture di difesa che gli animali assumono in situazioni di pericolo e qui assunte dalle figure umane, che sono sempre autoritratto dell’artista, le cui capigliature sono formate dalle squame che ricoprono il corpo del pangolino e che qui diventano motivo decorativo come una sorta di casco protettivo alludendo a una metamorfosi e fusione tra il corpo umano e l’animale ritenuto ospite intermedio e mezzo per il passaggio del virus da animale a uomo.
Alla fine del percorso ci troviamo davanti a una grande installazione costruita su una quarta serie di disegni composti come quinte sceniche e tracciati sulla carta carbone dalla quale la figura emerge graffiando via la grafite dalla carta copiativa. Una sorta di ambiente “al nero” abitato da creature che emergono come dagli abissi di una coscienza e vanno a intrecciare rami e corpi in un rapporto sempre dialettico.
In occasione del finissage, posticipato al 18 febbraio alle ore 17 si terrà la presentazione del catalogo della mostra insieme a Marta Roberti in dialogo con Ilaria Mariotti e la curatrice e critica d’arte Paola Ugolini, autrice, insieme alla curatrice dell’esposizione, a Cecilia Canziani e a Mauro Folci, di uno dei contributi della pubblicazione, che costituisce un ricco approfondimento sulla ricerca più recente dell’artista.
Villa Pacchiani, Piazza Pier Paolo Pasolini, Santa Croce sull’Arno
Per le opere in mostra courtesy l’artista e z2o Sara Zanin
Tutti i crediti fotografici sono di Ela Bialkowska, OKNO Studio e courtesy Comune di Santa Croce sull’Arno