Ironica, spregiudicata, sfrontata, ma con l’atteggiamento genuino e innocente, forse anche un po’ inconsapevole, della bambina dallo sguardo puro alla quale non è stato detto che la libertà di espressione potrebbe essere solo un’illusione, Cristina Gardumi affronta tematiche legate al comportamento e alla sessualità di genere, redarguite con la forza di un tratto delicato, sobrio, dalla personalità poco ingombrante, che si scioglie nello sfumato di vivaci colori ad acquarello e si riempie delle tonalità calde del caffè.
A partire da giovedì 22 marzo 2018, Burning Giraffe Art Gallery presenta la prima personale torinese dell’artista, vincitrice del TINA Prize 2017, per cui si realizza questa mostra a cura di Alessandra Ioalé.
Attraverso un corpus di opere inedite, costituito da due installazioni: una fotografica con interventi pittorici e una interattiva, e dalle animazioni video da cui è tratta la serie di dipinti su carta, portiamo all’attenzione il lavoro di ricerca di questa pittrice, illustratrice, performer e attrice teatrale, bresciana di nascita ma pisana di adozione, dal talento riconosciuto a livello internazionale, come attestato dai prestigiosi riconoscimenti che si sono susseguiti negli anni, quali il Celeste Prize, il Premio Arte Laguna e il Combat Prize. In occasione del finissage, sabato 21 aprile, l’artista realizzerà in Galleria una delle sue performance studiate ad hoc per la mostra.
Forte di una solida formazione teatrale, oltreché artistica, l’artista indaga situazioni stereotipe e ritenute socialmente imbarazzanti nella loro esplicitazione, attraverso la messa in scena di rappresentazioni su tela, stoffa, carta e video, dal forte carattere performativo in cui si muovono personaggi/attori dalla testa animale. Un leitmotiv, quest’ultimo, che informa tutto il lavoro di Cristina Gardumi e che trova un significativo parallelismo nelle maschere zoomorfe preistoriche. Nell’antichità la maschera era il mezzo con cui la divinità si manifestava, prendeva forma e portava un messaggio per consigliare, ammonire, punire o fornire regole comportamentali atti a regolare una sana vita sociale della tribù. Al contrario, nelle rappresentazioni dell’artista i personaggi/attori agiscono sì come in un rituale pagano, diventando gli Zo (coloro che hanno il privilegio di indossare la maschera), ma la maschera diventa un mezzo per la trasmissione tra umani, che cela l’identità di chi la indossa trasformandola in una nuova identità, rivelatrice, umana e non divina. Una identità che ne nasconde un’altra. Cristina Gardumi opera, nell’ambito dell’arte figurativa, come la scultrice, il gekie e il capo delle maschere del suo metaforico rituale, divinatorio alla conoscenza di verità più profonde e imbarazzanti o propiziatorio alla libertà di espressione, quali si rivelano essere poi le sue rappresentazioni pittoriche, scevre dal giudizio e dalla paura per quest’ultimo. Per l’artista gli animali sono esseri asessuati, privi cioè di una sessualità esteticamente esplicita, diventando simbolo di ambiguità sessuale, del diritto naturale a non appartenere a un genere definito e alla sua dichiarazione. Il binomio che ne scaturisce, quello della maschera/animale, produce un’affascinante tensione concettuale intrinseca a tutta l’opera dell’artista data da due volontà diametralmente opposte, che convivono nella medesima messa in scena: la volontà di “mascheramento” dei volti dei protagonisti, simbolo dell’identità personale e sociale dell’individuo, attraverso le teste animale; contrapposto alla volontà di “smascheramento” spudorato della loro identità sessuale e di genere attraverso le vesti, i comportamenti e la rappresentazione esplicita degli organi genitali. La maschera animale dà la possibilità di concentrare l’attenzione sull’atto del trasmettere la genuinità dell’Essere, la spontanea sincerità del gesto e la innocua verità dell’istinto; di rivelare verità fastidiose, fragilità pesanti, ossessioni da dimenticare.
Scene istintive, non ponderate, in cui si innesca un gioco di mascheramenti apparenti ed escamotage concettuali, in cui si nascondono alcune verità per rivelarne altre, più importanti per l’artista. Situazioni dove perfomano creature ibride, simbolo di libertà sessuale, in un disinibito gioco al nascondersi per venire allo scoperto, per confessare liberamente, manifestare apertamente il proprio lato selvaggio, che sta chiuso in ognuno di noi; un gioco al mascherarsi per invitare a scoprirsi e a scoprire l’altro, al travestirsi per riuscire ad accogliere e comprendere chi ha il coraggio di mettere a nudo le proprie fragilità e debolezze. Allegorie della scalpitante voglia di fare emergere il proprio istinto animale, quello che le convenzioni sociali cercano di imbrigliare e mettere a tacere. Facendoci riflettere sulla parola trasgressione e sull’azione del trasgredire. Rispetto a cosa o a chi? Rispetto a un sistema sociale imposto, che non accetta ciò che non conosce, ciò che non comprende e non riesce a far rientrare nei suoi schemi. L’uomo ha paura delle “anomalie di sistema”, perché non sa come controllarle. La trasgressione, specialmente nella sfera sessuale e dell’identità di genere, è ritenuta un’anomalia, perché è un comportamento non classificato, etichettato e catalogato, ovvero non assimilato nel sistema sociale e le reazioni dell’uomo rimandano sempre a forme di esclusione, allontanamento, negazione, discriminazione. La natura è un continuo ciclo di cambiamenti e adattamenti, quindi è una continua scoperta, così come l’uomo, che fa parte di essa, ha attraversato e continuerà ad attraversare fasi evolutive e di cambiamento continui, che avranno a che fare con la propria identità sessuale anatomica e di genere, di cui già siamo testimoni. Al giorno d’oggi però esistono ancora tanti tabù intorno alla libertà di espressione sessuale, la società non ha ancora assunto un atteggiamento di apertura e comprensione per queste “anomalie di sistema”, di conseguenza il mascheramento per l’uomo e per la donna continua ad essere una pratica importante nella società contemporanea.
Con HER/HERR, titolo significativo – “her”, che in inglese significa “lei”, e “herr”, che in tedesco significa “signore” – che rivela il carattere di un progetto che gioca sul filo dell’ambiguità di genere, si chiude un altro importante capitolo della ricerca di Cristina Gardumi. Attraverso un corpus di opere inedite, portiamo all’attenzione il lavoro di questa artista multidisciplinare, che da alcuni anni porta avanti una riflessione sul concetto di travestimento e sulle pratiche di smascheramento della femmina e del maschio contemporaneo. Dalle animazioni video “Her/Herr”, che danno il titolo alla mostra, proseguendo con l’installazione “Peep show”, una cospicua serie di fotografie vintage, in cui l’intervento pittorico dell’artista ribalta il senso della situazione reale fotografata innestando i suoi personaggi dalla testa animale all’interno dei paesaggi, a loro volta contemplati dai reali protagonisti degli scatti, che diventano inconsapevoli voyeur. Arrivando all’installazione interattiva, che occupa il centro della seconda sala espositiva, costituita da un trompe-l’oeil da letto in stoffa, ovvero un copriletto (che ciclicamente verrà cambiato) su cui il pubblico potrà sdraiarsi e farsi un selfie con il personaggio o i personaggi dipinti e calarsi finalmente in una delle messe in scena dell’artista.