Il mio testo critico per la personale di Giada Fedeli aka Gammaphì, Selfieca, a cura di Carlo Alberto Arzelà in tre tappe espositive, che si è tenuta dal 21 dicembre 2019 al 18 gennaio 2020 per l’iniziativa “Arte Per Studi“. Rassegna ideata da Michele di Gregorio e realizzata ogni anno in tre, tra i più importanti, studi legali di Pisa.
Personalità artistica effervescente, incontenibile e coinvolgente, da molti anni un’icona eclettica e creativa che ha animato la scena nostrana. Giada Fedeli in arte Gammaphì, dopo un lungo soggiorno nella Capitale, torna a Pisa con Selfieca, un progetto che segna la sua maturazione, come artista e come persona. La sua ricerca, che si è sempre concentrata sulla figura femminile partendo dall’analisi di sé stessa e del proprio corpo, oggi compie un passaggio fondamentale appropriandosi del concetto di autorappresentazione pittorica nell’era digitale.
Dall’autorappresentazione idealizzata, che noi tutti conosciamo, all’autorappresentazione realistica, che esperiamo per la prima volta qui, l’artista dimostra di aver superato la paura di ritrarre il proprio corpo e di averlo accettato completamente. Una maturazione personale, che coinvolge inevitabilmente anche la sua ricerca e che ha avuto inizio a Roma. Nella città eterna, l’artista si è trovata faccia a faccia con sé stessa in una realtà completamente diversa da quella a cui era abituata. Una realtà competitiva, apparente, in cui scopre la pratica del cosiddetto selfie essere una chiara manifestazione di egocentrismo, di autocelebrazione dell’immagine, che si vuole dare di sé stessi, ma che ha molto a che fare con la “sopravvivenza” sui social; una partita giocata tra il timore di mostrarsi per come si è e la voglia di apparire. Una realtà spaesante con pochi punti di riferimento, ma abbastanza stabili da rivelarsi fondamentali.
Saranno proprio il suo background di studi universitari e le grandi mostre, che Roma offre ogni anno, ad aiutarla ad orientarsi nel suo percorso introspettivo e di accettazione del proprio corpo, attraverso la rappresentazione e lo studio del reale. Fedeli rimarrà segnata dalle esperienze fatte di fronte ad alcune opere esposte di maestri del secolo scorso, come Escher e l’opera “La mano con sfera riflettente” – a volte definito con ironia, tra l’altro, il “selfie” del secolo scorso; sarà, invece, rivelatrice la lettura che la Prof.ssa Maddalena Spagnolo ha fatto dell’opera del Parmigianino, “Autoritratto entro uno specchio convesso”, durante l’inaugurazione alle Scuderie del Quirinale nel 2016. Entrambi i maestri saranno d’ispirazione per l’artista nell’affrontare le problematiche di distorsione visiva e ribaltamento della realtà nel genere dell’autoritratto.
Nella Capitale, l’artista vivrà un risveglio, che non solo la porterà a superare i propri timori, mettendosi a nudo, ma la farà andare oltre. Diventa necessario andare oltre un sé idealizzato, oscillando tra diverse tecniche pur rimanendo la pittura il suo nord, per operare uno studio su sé stessa, sia fisico che psicologico. Un sé vero, reale, quotidiano attraverso l’approfondimento del concetto, che sta dietro la pratica dell’autoritratto odierno e la sperimentazione prospettica dei punti di vista sulla propria persona assunti in questo tipo di pratica. Fedeli raccoglie la lezione dei Maestri dell’autoritratto riflettendo sul peso che oggi ha nell’espressione del proprio sé sui media.
In prima battuta l’attenzione dell’artista è attratta da una serie fotografica trovata nei rifiuti. Ritratti di giovani, probabilmente attori con indosso oggetti e costumi di scena, in pose provocatorie e provocanti. Scaturisce così l’idea di affrontare il tema della maschera, sia da un punto di vista oggettuale che concettuale, nell’era della autorappresentazione e presentazione di sé nella società odierna celebrando un’apparenza a scapito di un’essenza, che tende ad essere ben nascosta. Da ciò alla riflessione sull’autoritratto digitale o selfie in gergo inglese, nella sua trasposizione pittorica, il passo sarà breve. Grazie alla tecnologia lo scarto tra la posa e lo scatto si annulla. Niente è più lasciato al caso dell’autoscatto a distanza. La visione istantanea di sé stessi è ribaltata e permette di manipolarla a piacimento fino a subire una distorsione irreale per un risultato dozzinale di rappresentanza sociale. Il ribaltamento concettuale di questa mera funzione coincide con il cambiamento e la maturazione dell’artista.
Dalla serie di selfie di particolari della sua persona nella quotidianità, ai selfie pittorici nei luoghi più intimi e inaccessibili, come “Selfiesmo su WC”, tutti con una visione prospettica dall’alto, la sperimentazione del concetto di visione ribaltata e distorta raggiunge il compimento con “Selfiesmo sul letto”. In questa opera l’artista mostra quanto la sua formazione accademica sia forte e la sua ricerca abbia solide basi nella cultura cinematografica e storico artistica. È viva in lei, infatti, la lezione di Pasolini in “Mamma Roma”, dove ritrova una chiara citazione dell’audace prospettiva del “Cristo morto” del Mantegna. Fedeli parte proprio da questa rielaborazione pasoliniana dell’opera quattrocentesca per realizzare la sua opera selfieca, che chiude la serie di selfiesmi. Così definiti dall’artista, ovvero selfie digitali riportati su tela attraverso una minima rielaborazione pittorica, i selfiesmi divengono una rappresentazione del reale, che potremmo vedere come una manipolazione nella manipolazione, oltreché essere il ritratto di un autoritratto, in cui l’artista riconquista quello scarto tra posa e scatto, che prima era annullato.
Queste prime opere selfieche, nel loro complesso vanno a comporre un autoritratto atipico dell’artista, non solo della sua persona fisica, ma anche del suo punto di vista sul mondo che la circonda, arrivando a ritrarre ciò che oggi è diventato il mezzo necessario con cui farsi i selfie, ma che in un selfie non appare mai, ovvero le mani. Private del loro smartphone, le mani dipinte diventano oggetti plastici, indipendenti, nelle posizioni assunte per realizzare il selfie perfetto.