Dai primi passi mossi nel graffiti-writing, dove si misura con lo studio del lettering, alle successive esperienze post-graffiti, realizzate in giro per l’Italia a contatto con molti nomi stranieri, fondamentali per capire la rotta da seguire nella propria ricerca; passando per gli studi di oreficeria e soprattutto quelli di graphic design, vediamo maturare una coscienza artistica che opera responsabile nel contesto socio-culturale odierno, attraverso lo sviluppo di un linguaggio nuovo dalla peculiare sintassi espressiva di equilibri multiformi.Giorgio Bartocci classe ’84, un talento dalla forte personalità artistica, che lascia traccia del suo passaggio sia sui muri urbani che su qualsiasi altro supporto travolto dalla sua fervida sperimentazione di mezzi e colore.
Caro all’artista è adesso il ritratto di spaccati quotidiani, in cui si esprime il legame che egli stesso intrattiene con la città e la società che vi abita; con le costruzioni, che ne ridisegnano maldestramente la struttura urbana, su cui aleggiano anime meticce sospese nel leale doppio gioco di forme e colori, in bilico tra loro, che soltanto scontrandosi sulla realtà concreta del supporto ritrovano una propria dimensione stabile.
Anime meticce prive d’identità, e che forse non vogliono averne, affinché possano assumere quella di qualsiasi persona che le guardi, invadono le superfici vampeggiando come ombre proiettate dall’incendio della vita, che è in ognuno di noi. Anime divampate dalla tensione bipolare di chi interpreta ed esprime in un contesto ostile, ma allo stesso tempo ne rimane affascinato, e sente la responsabilità del segno che vi lascia. Una tensione risolta nel mezclado quasi armonico della composizione, in cui le zone di colore, ben delineate, si confrontano con quelle d’ombra, o ne costituiscono solo una tenue punteggiatura interna; in cui le pennellate si confondono, per dare un letto alle campiture più decise e nette, che ne definiscono l’articolazione sfuggente.
Soluzioni formali perfette ad esprimere quella costante duplicità nel rapporto con la città, che all’interno dello spazio espositivo viene dichiarato con la stessa potenza di un grido che s’infrange sulle pareti.
Testo critico per la personale “Duplicity” di Giorgio Bartocci a Studio D’Ars di Milano