I greci avevano due modi di indicare e descrivere il tempo. Con Kronos indicavano il tempo logico, descrivevano il suo scorrere lineare, mentre con Kairos indicavano il momento opportuno, di svolta. Nella vita di ognuno di noi arriva il momento fondamentale di crescita personale, il momento giusto per apprendere. Esistono tanti momenti così nella nostra vita e Panico Totale è stato il Kairos per molti writers, mc, djs, breakdancers, skaters italiani ed anche per me.
Era il 2016 quando feci uscire “Panico Totale Pisa Convention 1996-2000”, festeggiando i vent’anni della prima edizione della convention con una prima edizione del libro impreziosita dalla riproduzione, all’interno della sovraccoperta, dell’illustrazione originale che Etnik, uno dei protagonisti di Panico Totale, elaborò per il manifesto dell’edizione del ’98. Anch’io come questa illustrazione pazzesca, che sintetizza con stile le 5 discipline di strada, volevo restituire lo spirito e la memoria delle cinque edizioni della manifestazione pisana in un libro da collezione. È stato un lavoro, che mi ha portata a conoscere quella scena, così capillare, italiana, accessibile a pochi e per pochi. Ho avuto accesso a storie ufficiali e ufficiose, di amicizia, di incontri fortuiti, generatori di momenti indimenticabili di crescita o di legami indissolubili. Ho chiesto, se alcune di quelle storie me le potessero regalare per inserirle nel libro e Draw, Bol, Mr Wany e Loomit lo hanno fatto. Negli occhi di chi mi parlava, ho letto la passione con cui ha accentrato energie per costruire qualcosa, che lasciasse il segno nella propria città; nella voce e nelle parole scritte di chi ha partecipato, ho percepito l’entusiasmo per aver contribuito a lasciare quel segno. Spero di essere riuscita a restituire tutto ciò e qualcosa di più, perché di quelle cinque edizioni è rimasto ben poco di materialmente tangibile e verificabile. Come tutti ormai sanno, il pezzo del maestro newyorkese Phase2, realizzato nella prima edizione del ’96, è stato crossato senza riguardo in tempi relativamente recenti; ma ciò che in tanti non sanno è che, il bellissimo muro realizzato in combo da Daim, CanTwo, Loomit, Seak e un giovanissimo SatOne per l’ultima edizione di Panico Totale, fu crossato da svastiche appena due giorni dopo la sua realizzazione, giusto il tempo di una foto insomma, per poi scomparire del tutto. Era il 2000 e quest’anno ricorre il suo 20° anniversario e ne vorrei omaggiare il ricordo in questo articolo.
PANICO TOTALE 2000
L’emozione e l’agitazione sono alle stelle. I ragazzi, che al tempo facevano parte della Casseurs Foundation, l’associazione culturale pisana organizzatrice, mi raccontano, che erano, sì, tanti i partecipanti ufficiali, ma erano arrivati anche altrettanti writers non ufficiali. Ed era la cosa più bella di questa magnifica convention, ma anche la più difficile da gestire insieme al tanto pubblico accorso. È in questo stato di positivo delirio, che nasce la crew del Gruppo Ok con a capo Dem, Blyz, Suede (aka Dr.Pira) e Emon (aka 108), ai quali si sarebbero ben presto aggiunti altri super membri come Mondo, Peio, Cook, Mine, Punto, Elpho, Shark, Koma, Kane e molti altri dall’estero[1]. Non è la prima volta che al Panico si formano crew importanti, basti pensare alla mitica KNM, che racchiude i più bravi writers toscani.
L’edizione del 2000 ha luogo a fine settembre e dura tre giorni (e tre notti), ma si rivelerà poi essere arrivata al capolinea. La quinta edizione si dimostra essere al pari di tante altre super manifestazioni organizzate in Italia. I maestri tedeschi non mancano e lavorano a fianco dei writers delle altre importanti crew italiane arrivate al completo o quasi. Mentre tutti, muniti di propri bozzetti studiati per l’occasione, si esprimono sui muri del sottopasso di San Rossore, dall’altra parte della città, nell’enorme tensostruttura dell’area Expo di Ospedaletto (zona industriale di Pisa), si svolgono le performance di freestyle e le session di turntablism dei dj, diventando le basi musicali per la battle di breakdance. Come riporta MDJ+ sulle pagine di Aelle, «dj Alik mette i dischi e a volte Next One entra a ballare strappando centinaia di applausi. […] Sono arrivati da un po’ tutte le parti d’Italia […] alle 21.30 con Uomini di Mare sul palco la convention deflagra. […] Quando entra Esa (che per l’occasione è il conduttore della serata) a fare una strofa è un boato. […] Poi tocca a Gopher e insieme a lui, del tutto fuori programma, entra Gruff che tira su di un livello superiore l’entusiasmo. […] Quando Next One sale sul palco a breccare mentre il dj manda un breakbeat, capisco che questa non è una jam come le altre. […] Una jam dovrebbe essere un confronto, uno scambio, un modo di conoscersi. Qua a Pisa ci si incontra, sia sotto che sul palco […] Nel backstage i writer si mostrano i bozzetti alla luce tenue delle lampadine, sono lontano 400 chilometri da Milano, ma mi sembra di stare a casa.[2]» Un vero e proprio spettacolo, a cui chiunque avrebbe voluto partecipare. Nessuno immaginava sarebbe stata l’ultima edizione. Ma come ogni Kairos, anche Panico doveva durare il tempo che è durato, per rimanere impresso nella memoria di chi lo ha fatto e vissuto, ma soprattutto segnarne la svolta e lasciare un’eredità. Il Panico è stato tramandato, è dilagato varcando confini spazio-temporali attraverso il pensiero e l’azione di tutti quei ragazzi, che di colpo sono diventati grandi coltivando le loro passioni e facendole crescere fino a farle diventare un lavoro. Attraverso un libro come il mio, scritto vent’anni dopo, documento e testimonianza di quell’esperienza Totale da Panico. Questo non sarebbe successo se il Panico fosse arrivato ai giorni nostri, perché nel tempo sarebbe cambiato per adattarsi alle esigenze più commerciali odierne, perdendo lo spirito iniziale e diventando un evento di cui nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. C’è un tempo per tutto e ce ne è stato uno per il Panico Totale.
4 ANNI DA PANICO TOTALE
Dall’uscita del libro sono passati quattro anni e sono successe tante cose. Presentazioni e incontri, per cui ringrazio tutte le persone, che si sono interessate al libro e alla storia che contiene, ma soprattutto quelli che sono stati i miei compagni e veri protagonisti di alcuni di questi incontri, ovvero gli ex Casseurs; una residenza a Dresda nel 2017, per la quale ringrazio della bella opportunità Jens Bessen.
Infine due mostre, molto importanti per me. La prima a Bologna nel 2017 a Adiacenze, dove ho potuto portare non solo la maggior parte delle foto originali tratte da libro, ma anche il pregiatissimo materiale gravitante attorno alla manifestazione (cimeli e riviste di settore, che ne avevano dato notizia).
La seconda, invece, GraffAnthology, ha visto protagonisti il mio libro insieme ai numerosi libri pubblicati da Whole Train Press alla galleria Varsi di Roma nel 2018. In quel contesto le produzioni di entrambi rappresentavano 40 anni di editoria nel writing italiano, esponendo libri che documentano un certo tipo di azione nello spazio urbano e pubblico. Se il mio libro è il documento di un momento storico per il writing italiano in una situazione autorizzata e legale, avulsa da qualsiasi tipo di commissione, i libri di WTP sono documenti per immagini del writing italiano e internazionale in tutte le sue forme, molto spesso colto in situazioni illegali. Rappresentavamo le due facce del writing.
Se il mio libro racconta momenti di una convention, in cui come in una sorta di palestra i writers si riuniscono e si confrontano avendo il tempo di realizzare i propri pezzi e quindi mettere in pratica lo studio del lettering; i libri di WTP raccontano l’attitude vero e proprio alla base del game, che caratterizza l’azione illegale con cui i writers sfidano il poco tempo a disposizione in rapporto alla loro bravura di esecuzione mantenendo viva questa disciplina, come genuina, spontanea e libera.
Da un lato, erano esposte le fotografie tratte dal libro e i bozzetti originali di alcuni dei muri realizzati nelle cinque edizioni di Panico Totale, tutto di proprietà di Duke1, mentre dall’altro Whole Train Press ha esposto cinque diverse serie fotografiche tratte da altrettanti suoi libri anch’essi in esposizione. È in questa occasione che Jonathan Levin ha esposto per la prima volta il suo progetto Stratification. Un lavoro allucinante di archeologia attorno alla stratificazione dei graffiti sui vagoni della metro di Roma, un lavoro, come scrive lui stesso, «essentially archival, having digitised […] thousands of photographs taken with a myriad of different photo cameras […] and shot in many different situations […]. By organising these images by train line, year, author, and most importantly, carriage number, I have been able to identify and reconstruct different moments in time for hundreds of these subway cars. One thing is immediately apparent: not only do the surfaces of the carriages repeatedly change aesthetically, but in particular, the graffiti itself also transforms, gradually deteriorating by way of various natural and human causes. […]. This transformational quality is part of the very Essence of this graffiti that slowly gets old and eventually Fies just like its creators.»[3] Per me è stato un onore immenso conoscere una personalità creativa davvero fuori dal comune, un artista e skater di grande spessore, che mi ha accompagnata in giro per Roma e che, ahimè, ha visto quanto sia negata sulla tavola da skate. Ti ringrazio per la pazienza Jon e per il tempo che mi hai dedicato, parlandomi delle tue esperienze e facendomi scoprire Roma in modo diverso.
COSA LASCIA UN’ESPERIENZA COSI’
A me sicuramente ha lasciato maggior consapevolezza. Tutto il lavoro di ricerca e documentazione mi ha fatto riflettere molto e comprendere la natura non solo della disciplina writing, ma in generale di tutta l’arte urbana. La sua temporaneità deve spingerci, a posteriori e in prospettiva, a produrre del materiale documentario o raccogliere quello già esistente, per poi organizzarlo e gestirlo in una pubblicazione o autoproduzione. In un oggetto, insomma, che renda accessibile a tutti la traccia di un’azione, che non esiste più nello spazio urbano, e che dia la possibilità di tramandare ai posteri un’atmosfera, un pensiero, uno stile o degli stili, che mutano nel tempo e non saranno mai quelli dell’inizio. Il mio, volevo fosse un libro per studiosi e appassionati origini di una cultura di importazione, che ha avuto in Italia dagli anni ’80 in poi le sue importanti declinazioni. Sostanzialmente è un libro con cui ho colmato una piccola lacuna storica locale, che però ha segnato il writing italiano a livello nazionale, utile a tutta l’attività di storicizzazione portata avanti da tantissimi altri ricercatori e studiosi; utile ai writer di seconda generazione per ricordare i loro inizi, ma soprattutto ai giovani writers della generazione attuale, che vogliono conoscere questa disciplina, studiarne gli stili, confrontarsi con quello che è stato per lavorare sul proprio lettering. Tutto quello che invece è stato il lavoro di restituzione in galleria ha reso ancora più chiaro un altro aspetto dell’arte urbana, forse il più importante. Essa fonda la sua ragion d’essere nell’azione di riappropriazione o di territorializzazione. Questa azione, a cui è connesso lo sviluppo di determinati contenuti, che a loro volta sono sviluppati in relazione a uno spazio pubblico e urbano e al suo arredo, è il messaggio. Il cosiddetto “spazio pubblico”, che in teoria dovrebbe essere democratico, diviene il contesto-simbolo di una dimensione sociale, economica e culturale da cui ci si sente esclusi, si sente di non aver più voce in capitolo. Di conseguenza gli artisti urbani se ne riappropriano o lo riterritorializzano intessendo un nuovo dialogo con le sue strutture e i suoi arredi. Dialogo che disvela o imprime nuovo senso in quel contesto e trasforma, riorganizza la visione dello stesso. Per questo, indipendentemente dal contenuto autoreferenziale o no e dai mezzi usati, quell’azione è un atto politico. Dunque, per raccontare l’arte urbana, dobbiamo saperla leggere nella successione dei tre elementi interdipendenti: azione-contenuto-contesto urbano/pubblico. I segni delle loro azioni sul lungolinea, sui piloni dei cavalcavia o delle sopraelevate, che ci danno il benvenuto, ogni qual volta arriviamo in città via treno o via auto, sono lì ad avvisarci che quella città è ancora viva, che in quella città vivono ancora veri uomini d’azione che si riprendono il loro spazio. Artisti dell’azione che crea nuovo senso attraverso il segno di un dialogo, senza ledere la libertà di nessuno né tanto meno l’estetica di qualcosa già nata non-luogo o nata luogo, ma poi stuprato da tanta di quella roba autorizzata, che affolla infastidendo, quando non deturpa, lo spazio pubblico.
Vorrei ringraziare di cuore tutti i miei compagni di viaggio, che hanno sostenuto me e il libro condividendo con me tutte queste esperienze: Etnik e Duke1; Drago (Sanantonio42), Herrera, Porto, Fra32 e tutti i ragazzi della ex-Casseurs; Andrea Cela Celandroni, Marcantonio Lunardi, Maurizio Amendola, Pietro Rivasi, Christian Omodeo, Simone Pallotta, Pietro Bol Maiozzi, Kemh, Vandalo, Dado e Draw; l’infaticabile duo Mariotti&Tozzi di ADIACENZE di Bologna, Massimo Scrocca e i ragazzi della Varsi Gallery di Roma; Matteo Bidini e i ragazzi della Street Levels Gallery di Firenze, Silvana Vassallo della Passaggi Arte Contemporanea di Pisa, Andrea di Spot Graffiti Shop di Torino, WAG Milano, il Trota e tutta la crew di GraffDream di Roma, Kamilla di Malatesta Associati e molte altre persone amiche che non dimenticherò mai.
[1] Gruppo Ok, Io sono Ok. Tu sei Ok, Il Cerchio e le Gocce, Torino, 2019
[2] MDJ+, Panico Totale, in “Aelle”, n°51, novembre 2000, p.65
[3] Levin Jonathan, Roman graffiti. A study of deterioration and stratification on subway trains (1992-2019), “Nuart Journal”, Vol.2 N°1, Norway, 2019, p. 93